…qualunque tipo di sofferenza, come la chiamo io, ovvero di qualunque tipo di disturbo (d’ansia, dell’umore, dell’alimentazione, ossessivo, del sonno, psicosomatico…). Incontro la persona con la sofferenza che porta, non la sofferenza, e per questo motivo per me non è così necessario darle un nome, un’etichetta. Anche perché parlare di disturbo richiama l’idea che sia qualcosa di cui ci si deve sbarazzare. Non è questa la mia visione: il disturbo è la soluzione creativa che avete trovato per adattarvi ad una situazione difficile, ed in quanto tale per ora è fondamentale, insieme al messaggio che sta cercando di mandarvi. Se curassimo il sintomo, senza ascoltare il suo messaggio, molto probabilmente ve ne inventereste un altro per riuscire a stare in equilibrio nella situazione difficile in cui siete.
Se ti assumi la responsabilità di quello che stai facendo, del modo in cui produci i tuoi sintomi, del modo in cui produci la tua malattia, del modo in cui produci la tua esistenza, al momento stesso in cui entri in contatto con te stesso, allora ha inizio la crescita, ha inizio l’integrazione.
Fritz Perls
La concezione di disturbo richiama poi l’idea del trattamento, ma sono gli oggetti che si trattano. Le persone stanno in relazione, ed è proprio la relazione che cura. Come gestaltista non utilizzo tecniche o strumenti specifici, tutt’al più mi piace fare insieme degli esperimenti, nei quali sappiamo da dove partiamo ma non dove arriveremo: ho una grande fiducia nel fatto che scopriremo in ogni caso qualcosa di interessante. Solo in questo modo posso prendermi cura di voi, e non curarvi.
Nella mia pratica clinica lavoro con adolescenti e adulti in un setting individuale.
In contesto torinese ho collaborato anche nel progetto Assaggi di Gestalt.